domenica 11 giugno 2017

Carlo Carrà

Carlo Carrà
Figlio di un possidente terriero caduto in disgrazia, apprese i primi accenni dell'arte del disegno da giovane, a soli 12 anni, durante una forzata stabilità a letto a causa di una lunga malattia. Iniziò ben presto a lavorare come decoratore murale a Valenza frequentando nel frattempo le Scuole serali tra cui a Milano negli anni 1904-05 la Scuola superiore d'Arte applicata all'Industria del Castello Sforzesco. ”In particolare Carrà allora di professione decoratore murale, frequentatore della Scuola negli anni 1904-05 di ritorno da Parigi e Londra, prima di iscriversi all'Accademia di Brera, vi si distinse (egli stesso lo ricorda nella sua autobiografia) conseguendo il primo premio di decorazione, di lire 500, e quello Noseda di 175 lire.
Nel 1900, si recò a Parigi durante l'Esposizione Universale, per eseguire le decorazioni di alcuni padiglioni. In visita al Louvre, si entusiasmò di alcuni pittori, quali DelacroixGèricaultManetPierre-Auguste RenoirPaul CézanneCamille PissarroAlfred SisleyClaude MonetGauguin. A Londra, invece, si appassionò alle opere di John Constable e William Turner. In questo periodo cominciò a interessarsi di politica, intrattenendo rapporti con gruppi anarchici che interruppe però ben presto.
Trovatosi per caso nel corso del funerale dell'anarchico Galli, ucciso dal custode della fabbrica che picchettava nel corso dello sciopero generale del 1904, ne rimase profondamente colpito, e cominciò a disegnare alcuni bozzetti, che anni più tardi sfoceranno nell'opera Il funerale dell'anarchico Galli. Solo nel 1906 entrò all'Accademia di Brera, come allievo di Cesare Tallone. Qui incontrò alcuni giovani artisti destinati a essere protagonisti sulla scena artistica italiana: Bonzagni, Romani, Valeri e Umberto Boccioni.
Breve esperienza divisionista: è difatti nel divisionismo che Carrà scorge i fermenti più vivi di rivolta al clima provinciale della pittura italiana di quegli anni. Nel 1909, con la pubblicazione del Manifesto del futurismo, a firma di Filippo Tommaso Marinetti, rivolto ai giovani artisti dell'epoca per esortarli ad adottare un nuovo linguaggio espressivo, nasce il nuovo movimento del Futurismo, cui aderiscono Carrà e altri artisti, fra cui i pittori Gino Severini e Giacomo Balla.



Periodo futurista: il periodo futurista è il legame breve ma intenso con Leda Rafanelli, anarchica, che si era separata dal marito, Alberto Ciampi (uno dei maggiori esperti per quanto concerne i rapporti fra Futurismo ed anarchia) ha scritto un libro dedicato ai due Leda Rafanelli, Carlo Carrà: un romanzo, arte e politica in un incontro, non per niente Carrà dedica un quadro intitolato "Funerali dell'anarchico Galli" e commenta così l'accadimento.
« Vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarriti, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma avesse a cadere da un momento all'altro in terra e i cavalli la calpestassero »

Periodo metafisico: A partire dal 1915 Carrà comincia a sentire l'esigenza di abbandonare i temi della velocità e del dinamismo, cercando un contatto più strutturato con il reale. La guerra coinvolgeva Carrà, prima con un'intensa attività interventista, durante la quale conobbe anche Cesare Battisti, e poi con la chiamata alle armi. Ma l'esperienza fu talmente dolorosa, che finì ricoverato in un nevrocomio a Ferrara. In questa città, nel 1917, conobbe Giorgio De Chirico e Filippo De Pisis con i quali definì i principi teorici della Metafisica. Dopo alcune opere in stile dechirichiano, il pittore raggiunse ben presto una propria individualità artistica, per cui Carrà non rimase confinato tra le formule tipiche del movimento metafisico, nella sua arte la metafisica fu decisamente superata dalla poesia e dal senso del magico. Nel 1919 contrasse matrimonio con Ines Minoja e iniziò la collaborazione alla rivista d'arte Valori plastici di Roma, che proseguì fino al 1921. Le principali opere di questo periodo sono:










SALVADOR DALI'





“La sola differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo.” 


                                 cit. Salvador Dalì










Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989) è stato un pittore, scultore, scrittore e fotografo spagnolo celebre per le sue opere e immagini bizzarre e suggestive che segnarono l’arte surrealista.

A Madrid frequentò l’Accademia di Belle Arti ma nel 1926 ne fu espulso per indegnità. L’anno successivo si recò a Parigi dove venne a contatto con il vivace ambiente intellettuale della capitale francese conoscendo altri artisti importanti come Pablo Picasso, Juan Mirò, André Breton e Paul Eluard.


Subito Dalì fece emergere la sua dirompente immaginazione e legò molto con l’idea surrealista dando molta importanza al distacco dalla sua coscienza razionale nel esprimere sé stesso nelle sue opere. La sua espressione artistica, infatti, portò subito alla luce tutte le pulsioni e i desideri inconsci, dando loro l’immagine di allucinazioni iperrealistiche.





La persistencia de la memoria

olio su tela del 1931

Museum of Modern Art di New York

Dalì inoltre fa risalire il suo amore per il lusso e per tutto ciò che è dorato ed eccessivo e non esiste limite o senso della misura nelle sue opere che, sfoggiando la sua sfrenata fantasia unita ad un virtuosismo tecnico notevole, fa di Dalì il più intenso ed eccessivo dei surrealisti al punto da irritare chi ha amato e sostenuto le sue opere, facendosi persino espellere (nel 1934) dal gruppo dallo stesso Breton. 





Ciò tuttavia non scalfì minimamente la produzione artistica di Dalí, il quale, dopo essersi auto-professato unico vero artista surrealista esistente, intensificò notevolmente l’universo delle sue forme "surreali".

Dalì divenne anche famoso per il suo modo di pensare paranoico definendo questa sensazione il motore della sua espressione artistica.

Esso infatti definisce la paranoia come una malattia mentale la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche le quali prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione

De Chirico

De Chirico

Figlio di un ingegnere ferroviario, visse dapprima ad Atene, dove studiò al locale politecnico, poi, nel 1905, si trasferì con la madre e col fratello Andrea (Alberto Savinio) a Monaco di Baviera; nel 1906 lavorava in quella accademia sotto Klinger. L'arte di A. Böcklin, la filosofia di Nietzsche lo impressionarono profondamente. Cominciò a dipingere quadri allegorici e nel 1910 compì un viaggio a Firenze. Dipinse allora l'Enigma dell'oracolo. (olio su tela, cm 46x61, collezione privata).


 L'Enigma d'un pomeriggio d'autunno (Firenze Olio su tela, cm 45 x 60. Collezione privata), le prime opere in cui si rivelano le possibilità simboliche del sogno, in cui oggetti reali si trovano in relazioni innaturali e insolite, calate entro un'atmosfera sospesa.

Risultato immagine per c. carrà pittoreDal 1911 al 1915 fu a Parigi, tornato in Italia è stato, con C. Carrà, l'iniziatore della pittura "metafisica", rivolta a creare suggestioni fantastiche con l'accostamento di oggetti disparati e specialmente di statue antiche in uno spazio costruito secondo le regole della prospettiva quattrocentesca, ma acceso da colori di timbro decisamente moderno, con associazioni stupefacenti non soltanto di sensi e di idee, ma anche di storia e di tempo.
                         

È stato anche scenografo, ha
scritto un romanzo (Hebdomeros, 1930), ha scritto anche un romanzo autobiografico nel 1945.
Nel 2008, in occasione del trentennale della morte, la Galleria d'arte moderna di Roma ha dedicato all'artista un'ampia retrospettiva in cui si analizzano le radici della sua passione per la pittura antica.








                                                                                                                 Le Muse inquietanti”, 1916,                                                                                                                    Milano, Collezione Mattioli  Ritratto premonitore di guillaime apollinaire
1914                                                  
olio su tela

81.5x65 cm
Centre Georges Pompidou - Parigi



             

August Klimt

Gustav Klimt

Gustav Klint  (1862 - 1918)

Frequentò per otto anni la scuola primaria nel settimo distretto comunale di Vienna e successivamente nel 1876, malgrado le pressanti ristrettezze economiche, il quattordicenne Gustav venne ammesso a frequentare la scuola d'arte e mestieri dell'Austria (Kunstgewerbeschule), dove studiò arte applicata fino al 1833, cominciando a informare personali orientamenti di gusto e imparando a padroneggiare diverse tecniche artistiche, dal mosaico alla ceramica, nel rispetto dei canoni accademici e della storia dell'arte del passato.
A testimonianza del suo riconoscimento artistico, nel 1888 Klimt ricevette una benemeraza ufficiale da parte dell'imperatore Francesco Giuseppe

Österreichische Galerie Belvedere, Vienna



                                               Periodo Aureo

Giuditta I (1901)
Österreichische Galerie Belvedere, Vienna
Nuda veritas (1899)
Österreichisches Theatermuseum
Ritratto di  Adele Bloch Bauer (1907)
New York, Neue Gallerie
Il Bacio (1907/08)
Österreichische Galerie Belvedere, Vienna
Nel 1903 Klimt si recò due volte a Ravenna, dove conobbe lo sfarzo dei mosaici bizantini: l'oro musivo, eco dei lavori del padre e del fratello in oreficeria, gli suggerì un nuovo modo di trasfigurare la realtà e modulare le parti piatte e plastiche con passaggi tonali, dall'opaco al brillante.
Il periodo aureo si chiuse nel 1909 con l'esecuzione di Giuditta II, seconda raffigurazione dell'eroina ebrea che liberò la propria città dalla dominazione assira: l'opera, caratterizzata da cromie più scure e forti, darà infatti avvio al cosiddetto «periodo maturo» dell'artista.


                                                                      Il periodo Maturo

Dopo la stesura di Giuditta II, nel 1909, Klimt ebbe un periodo di crisi esistenziale e artistica. Il mito della Belle Epoque era ormai giunto al tramonto, così come i fasti dell'Impero Austro-Ungarico, che collasserà definitivamente con lo scoppio della prima guerra mondiale.

PIET MONDRIAN


Piet Mondrian
Il pittore della griglia nera e dei rettangoli colorati
Il pittore olandese Piet Mondrian cerca di cogliere nei suoi quadri la realtà immutabile delle cose al di là del loro aspetto mutevole. Ai primi del Novecento inventa un linguaggio composto di una griglia nera e di rettangoli colorati di rosso, blu e giallo. Il suo stile, essendo facilmente imitabile, inaugura una moda che si diffonde anche nell’architettura e nel design
Verso l’astrazione
Pieter Cornelis Mondriaan, più conosciuto come Piet Mondrian, nato ad Amersfoort in Olanda nel 1872, dipinge le sue prime opere con uno stile influenzato dal simbolismo e dalle pennellate tormentate di Vincent van Gogh, mentre i soggetti misteriosi rivelano una forte ansia religiosa.
Accostando alcune tele che raffigurano un albero si può seguire il suo graduale abbandono delle forme naturali per una visione astratta. Nel quadro Albero rosso si distinguono ancora le foglie, i rami e il tronco dipinti con i colori vivaci dei fauves, mentre Albero grigio rivela già una forte semplificazione delle forme. L’albero è ancora riconoscibile grazie alle pennellate che suggeriscono la direzione dei rami e del tronco, mentre le gradazioni di grigio che ricordano la pittura monocroma dei cubisti (cubismo) già annunciano uno stile astratto. In Melo in fiore l’albero è ormai ridotto al solo scheletro, linee curve e rette suggeriscono gli intrecci dei rami mentre le linee ai margini risultano ormai del tutto astratte. In seguito, solo i titoli permettono di intuire il soggetto; le tele sono ormai popolate da una sequenza di segni più e meno accostati secondo ritmi diversi, come in Molo e oceano dove a stento si indovinano il profilo del molo e le onde del mare.
Albero rosso

ALBERO ROSSO l'Aia, Gemeentemuseum [n. 206] Assieme (cm. 70x99)



MELO IN FIORE    L'Aia, Gemeentemusem [n. 255] Assieme (cm. 78x106)
                                              
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Il neoplasticismo
Nel 1917, insieme all’amico Theo van Doesburg, Mondrian fonda la rivista De Stijl, a cui collaborano gli artisti astratti più celebri dell’epoca. Attorno alla rivista si organizza un movimento che prende il nome di neoplasticismo, un termine che indica la ricerca di una forma nuova e assoluta, che non cambia con il passare del tempo ed è valida per tutti. Per raggiungere questa forma, l’arte non rappresenta più un soggetto riconoscibile e diventa astratta. Non c’è più differenza tra sfondo e primo piano, linee nere si intrecciano ad angolo retto e i rettangoli ottenuti da questi incroci sono colorati di rosso, blu e giallo creando un effetto di equilibrio e di armonia. I principi dell’astrazione formale contagiano presto anche l’arredamento, con la realizzazione di tavoli e sedie, e l’architettura.
La rottura con van Doesburg e l’allontanamento dal gruppo avvengono per un motivo che può sembrare solo formale e fa sorridere: van Doesburg vuole introdurre la diagonale nei quadri e Mondrian si oppone perché ritiene che la diagonale sia un elemento dinamico che spezza ogni equilibrio compositivo. La diagonale, come le linee curve che l’amico Georges Vantongerloo sta adottando nelle sue sculture, rappresenta per Mondrian un ritorno a forme legate al gusto personale dell’artista ed è un elemento decorativo che si allontana dal rigore neoplastico; è quindi inaccettabile.
Negli Stati Uniti d’America
Interrompere un’amicizia per cause artistiche non è così esagerato, se si pensa che per Mondrian l’arte è inscindibile dalla vita: quando incrocia linee orizzontali e verticali cerca di conciliare le forze opposte e di trovare l’equilibrio del mondo attraverso un equilibrio compositivo. Per lui, che anche nella vita quotidiana non sopporta il disordine, nei quadri tutto è sottomesso a un freddo controllo e non si deve riconoscere neppure una pennellata.
Quando nel 1940 si trasferisce a New York, dopo aver trascorso due anni a Londra, il suo stile controllato cede a un maggiore dinamismo: il pittore è contagiato dall’atmosfera festosa dell’America e dai ritmi della musica jazz, e trasferisce queste emozioni sulla tela. Smette di usare le linee nere e riempie i quadri di linee colorate (gialle, rosse e blu) che si intrecciano secondo un ritmo musicale e, come imitando il movimento del ballo, trasmettono allegria allo spettatore, come nel celebre Broadway Boogie-Woogie (1943-44).
Quando muore di polmonite, nel 1944, Mondrian è al culmine del successo.

http://www.treccani.it/enciclopedia/piet-mondrian_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/